22 giugno 2010

MARRAKECH EXPRESS

La strada fuori dall'albergo è piuttosto buia.
I marciapiedi sono quasi impraticabili, la lastricatura completamente assente, consunta dall'usura e dal tempo.
La via verso il ristorante dove siamo diretti è breve, ma non tanto da impedirmi un primo assaggio della Ville Nouvelle di Meknes.
Il traffico è consistente, il parco mezzi evidentemente vetusto ed obsoleto.
I polmoni si riempiono di qualcosa di inusuale.
Cos'è questo sapore? Cos'è questo odore che produce in me un deja vu così forte?
La domanda risuonerà nella mia testa per qualche giorno e solo dopo qualche tempo il ricordo affiorerà: piombo!
Ah, le buone e vecchie marmitte prive di catalizzatore!
Sembra proprio di stare a campeggiare all’interno dei tornati delle strade di montagna.
Così, semplicemente a respirare le marce basse, ascoltando nel contempo le secche e titubanti cambiate.
Rumori e sapori di un'età ormai andata, ma così densa di ricordi.

Dall'esterno il ristorante ispira poca fiducia.
E' vuoto e la pulizia non sembra delle migliori.
Chi non è abituato a tutto ciò, soffrirà un viaggio tutto improntato alla partecipazione, alla condivisione, al vivere a stretto contatto con la gente del luogo.
Entriamo e ci accomodiamo su un lungo tavolo degnamente apparecchiato.
Il cibo è quello tipico marocchino: piatti a base di verdure e carne abbondantemente speziate.
Cumino e coriandolo sono padroni di una cucina la cui varietà è comunque abbastanza limitata.
Cus cus e Tajine i piatti più celebri.
Il primo è conosciuto ai più, il secondo invece si fregia di un nome che identifica contenitore e contenuto.
Un piatto di terracotta incappellato da un coperchio dalla forma di un cono rovesciato.
Colori ed odori inebriano.

cibi

La cena si sviluppa velocemente, tra chiacchiere leggere, abbondantemente insaporite di un piccante che solletica la lingua.
Il tè alla menta la chiude degnamente, sprigionando profumi piacevolmente digestivi e rendendo realmente conviviale questo momento.
Il ritorno al bramato giaciglio si fa più tortuoso.
Le buie vie della periferie rivelano ai nostri occhi una realtà sotterranea.
Una realtà fatta di loschi locali, popolati del solo genere maschile.
Timidamente ci addentriamo in alcuni di essi.
Acre è l’odore di fumo, qui ancora permesso, densa è l’aria, invero irrespirabile.
Uno di questi colpisce per la sua originale struttura modellata sui peristili romani, due piani con il superiore delimitato da una balaustra lignea.
Su questa si poggia molle e straripante un donnone dalla ragguardevole stazza.
Vestita di nero, con poca stoffa che mal contiene tanta carne.
Dopo un certo smarrimento si comprende la sua funzione: soddisfare avventori bisognosi d’affetto.
Non solo d’affetto, ma anche desiderosi di sentirsi sommergere da qualche quintale di tracotante ciccia.
Sui tavoli cinerei, spicca l’ingombrante presenza di numerosissime bottiglie vuote di birra.
In Marocco birra significa Spèciale, curiosamente posta in piccole e panciute bottiglie da quarto di litro.
Tra i tanti tavoli sommersi di verdi vetri, qualche altra donna appare.
Avvinghiate a uomini bramosi, si contorcono in voluttuosi baci ed abbracci.
Abbracci di braccia che brevi esplorano le vie del piacere.
L’altra faccia dell’Islamismo. Affumicato ed ebbro.

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Densità è ciò che si percepisce inoltrandosi nelle Medine delle città.
Medina è la parte vecchia, araba, contrapposta alla francofona Ville Nouvelle, racchiusa tra alte mura e dedalo intricatissimo di viottoli stretti e complicati nella loro struttura.
Perdersi in quella di Fès è facile.
Perdersi in quella di Fès è addirittura auspicabile oltreché immediato.
Padriss, sessantenne insegnante di arabo e francese ci impedirà questa esperienza, ma la percezione del suo labirintico dipanarsi è chiara.
Si muove sicuro tra le centinaia di micro esercizi commerciali, spesso raggruppati in zone coerenti, dove lo spirito di confederazione è così mantenuto vivo.
Il settore delle spezie è quello più variopinto e geometrico.
Il naso, tra bancarelle così odorose, è messo a dura prova. Balsamici odori si mischiano a nauseabondi respiri di carne mal conservata.
Esposta al caldo, ai raggi solari, all'azione di fastidiosi insetti, assume una connotazione poco consona agli standard igienici occidentali.
Il guardo all'interno di queste intricatissime strutture cerca la prospettiva, inquadra sequenze di colori, individua ardui ossimori da cogliere con occhio attento ed interpretativo. L'obiettivo, giocato tra priorità di tempi e diaframmi, cerca di coglierne i significati.
Lo slalom tra venditori urlanti, richiede impegno e perizia. Districarsi tra richiami in un italiano maccheronico o uno spagnolo inadatto, diventa abitudine cui ci confà immediatamente.
L'insistenza nell'attirare l'attenzione è poi sintomo di un rito a noi non usuale: la contrattazione.
Asfissiante,sottile, psicologica, strategica, foriera di tensioni che si annacquano sempre di fronte ad un dolcissimo bicchiere di tè alla menta.
Vivacità è l'elemento di cui ci si riempie all'uscita da questi labirinti.
Vivacità di colori.
Vivacità di suoni.
Vivacità di spirito, reso tale dai sorrisi sempre pronti dei venditori e da un clima evidentemente festoso.
E' una micro economia del benessere.
Quella che i bilanci sociali di molte aziende cercano di misurare è invece qui palpabile, poco teorica e molto permeante.

MERCATO

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La direzione è chiara: sud.
Il paesaggio cambia.
Colline verdeggianti e bucoliche lasciano il posto a steppe desertiche, brulle e sassose.
Tutto ciò non prima di aver traversato l'Atlante, eruzione rocciosa che si eleva fin oltre i quattromila metri oltre il livello del mare.
Mare che qui in Marocco è sia Nostrum che Ignotum, sede mitologica delle colonne d'Ercole dove nec plus ultra.
La storica e tipica abitazione è dunque la Kasbah.
Fortini costruiti con materiali poveri, argilla e paglia, atti a racchiudere e difendere una piccola popolazione essenzialmente dedita alla pastorizia.
La capra, così avida di tutto ciò che è commestibile, è padrona di un paesaggio realmente irto ed erto, duro e difficile.
L’estrema adattabilità di questo animale lo rende ideale nel fornire adeguare quantità di latte e carne.
Lungo strada che percorre gli strati più meridionali del Marocco, sostare in tipici locali a bordo carreggiata o nei piccoli paeselli attraversati, è naturale.
Vi è un indicatore infallibile atto a predirne la bontà, ovvero la presenza di avventori che siano autoctoni e non foresti.
Fumanti ed ardenti griglie cuociono con avida continuità le carni lì esposte.
Montoni per lo più, mostrati come trofei penzolanti, da analizzare con cura onde sceglierne il taglio migliore.
Costolette o macinato da infilzare con lunghi spiedi, tagliati con mannaie possenti ed elaborati da mani rugose, dalle nere pieghe epidermiche.
Unte, ma esperte dita, lavorano carni tenere e gustose.
Tre teste mozze impietosamente giacciono ai piedi del banco dove tanto apparecchiare accade.
Sono forse li apposta a ricordarci della crudeltà insita in chi è carnivoro.

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L’Hammam è un rito depurativo cui non ci si può sottrarre.
Radicato in tutta la cultura arabo-mediterranea, identifica il complesso termale atto alla purificazione di corpo e spirito.
Vi sono due opzioni possibili: farlo nelle apposite strutture per turisti od immergersi nella realtà popolare, costi quello che costi.
La seconda opzione eccita maggiormente ed eccoci ad El Rich ad inoltrarci in un complesso piuttosto fatiscente.
Si scordino gli stucchi e le ceramiche ad adornare le pareti e si lasci spazio ad una piastrellatura in semplice agglomerato.
Cemento grezzo, panche traballanti, lucente penombra.
L’estetica viene tranquillamente sacrificata alla pura funzionalità del luogo.
Passare le tre stanze principali rappresenta un crescendo di caldo ed umidità e ciò per ottenere l’effetto desiderato: sudare copiosamente.
Due fontane contengono acqua calda e fredda con la quale calmare i bollori e prepararsi alla fase più temuta.
Un uomo smilzo ma nervoso si avvicina e mi ordina, in un linguaggio e maccheronico e gestuale, di sdraiarmi sul pavimento.
Due secchiate d’acqua preparano il terreno e la mia pelle.
Indossa un minaccioso guanto rosso.
In pochi istanti capisco tante cose, capisco il perché di così ampi sorrisi che mi circondano.
Inizia uno scrub veramente energico, preciso, che diligentemente percorre ogni parte di me.
Dopo qualche secondo inizio a sentire un odore terribile, disgustoso.
Non ne capisco l’origine, imputandolo inizialmente alla luogo non certo regale in cui mi trovo.
Dopo un po’ inizio a capire: è la mia pelle, i cui strati superiori vengono tolti e bruciati dall’energico massaggio.
Quindici minuti di supplizio sono seguiti da una piacevole insaponatura.
Il rito finisce e mi reco così nello spogliatoio dove poter rilassare e rinvenire le membra percosse da un’esperienza così piacevolmente forte.
Il palmo della mano accarezza una pelle così vellutata da farmi sembrare un imberbe infante.


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Strade dritte e vallonate si pongono sulla via che ci porta al geometrico confine meridionale del Marocco.
Lo sguardo si perde seguendo una linea di mezzeria ondivaga.
Mi sento veramente in viaggio.
Mi sento andare e trasportare verso la conoscenza dell’altro, del diverso, del nuovo.
Alte dune di sabbia si scorgono in lontananza.
Erg Chebbi, ci permetterà di saggiare la finissima sabbia del deserto.
Addentrarsi a piedi per le due ore necessarie per arrivare al campo base, mi da modo di cogliere le geometrie più ardite.
La temperatura esterna è molto elevata e ciò assieme alla suggestiva sensualità del paesaggio, fa surriscaldare l’apparecchio fotografico.
L’incedere è faticoso, ma la pienezza delle sensazioni da coraggio.
Arriva la notte e mi trovo nel bel mezzo di un erg piuttosto esteso, in un campo tendato ormai addormentato.
Il silenzio abbaglia.
Il cielo è follemente stellato e per ciò non riesco a non lasciarmi andare alla tentazione del dormire all’aperto.
Solo et pensoso, è solo il cielo sopra di me.
Le sahariane temperature si invertono di segno durante la notte.
Resisto quasi tre ore, ma poi il freddo pungente ha la meglio: devo rientrare in tenda.
L’alba, con le sue tonalità calde e le ardite ombre, colpisce ancor più del tramonto.

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Marrakech ti accoglie subito con un'anima diversa dalle altre città marocchine.
E' un'alea di mistero più volte celebrata in letteratura, ma che solo visitandola si comprende.
E' una città decisamente freak & cool, dal fascino oscuro ed orientaleggiante.
Assimilabile a Kathmandù in tutto ciò.
Alla base dell'Atlante, dipinta di un rosso carminio che la eleva distinta, vive dei miti che ne fanno una protagonista indiscussa del Nord Africa.
Djemaa el Fnaa è la piazza attorno alla quale tutto ruota.
Enorme, multicolore e trasformista, accoglie con un abbraccio tenace.
Di giorno è sede di bancarelle che vendono generi alimentari nonchè di abili professionisti.
Incantatori di serpenti ed improvvisati dentisti i più curiosi.
La sera, molto di tutto ciò sparisce e lascia il posto a gastronomie fornitissime e pronte a battagliare per accaparrarsi l'ultimo avventore.
Spiedi multicolore e fumanti lumache in un brodo speziatissimo, catturano.
I cantastorie si pongono in alcuni punti strategici della piazza ed ad uso e consumo della popolazione locale declamano le epiche più incredibili.
E' una vivacità che osmoticamente entra dentro chi la vive anche solo per qualche ora.
E’ la stessa vivace grandezza che il Marocco ispira al fortunato viaggiatore.

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6 commenti:

spiedo ha detto...

Standing ovation!

Continuo a non avere più dell'1% di voglia di andare in un paese del genere ma il report è grandioso.

Bella Martino!

Anonimo ha detto...

Meraviglia! Complimenti Martino!

ghido ha detto...

Comunque fermandosi un po' prima andando verso sud (cit. PAlermo La Vucciria) il panorama della piccola distribuzione alimentare non è poi tanto diverso...

Ilaria ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Borz ha detto...

grande Martino! il marocco è stupendo.. fatto nel 1999 a bordo di una R4.. l'attraversata dell'Alto Atlante... priceless!

mr. friess ha detto...

bellissimo, superfoto, bravo!