30 aprile 2013
29 aprile 2013
Specchio specchio delle mie brame.....
Si vabbè era Alta, Bionda, Ukraina ma senza il fondamentale apporto di BOB e dei volenterosi Lobos presenti col cavolo che vinceva la 24 Ore!
P.S. Grazie a BIOS per le foto!
PreValpo
Allora il 1 maggio ore 10 ci troviamo da Zullo per provare parte del giro del ValpoRonde!
Venghino!!!
ci si trova qui: http://www.zullo-bike.com/dove.html
22 aprile 2013
CICLOFATICA
Gettai nella rete queste parole circa un lustro fa, le rigetto in tandem con il post "Centini": buone letture.
Il primo atto che come umani compiamo è quello di nascere. Dico atto perché le ricerche hanno dimostrato in modo chiaro che il cucciolo umano durante il parto non è materia inerte che la madre con grande fatica “espelle” da sé, ma soggetto attivo di un gioco di squadra in parte geneticamente programmato.
Gettai queste parole nella rete circa cinque anni fa: in tandem con il post "Centini" le ripropongo: buona lettura.
Questo primo atto è un atto di transito, di movimento di attese e di improvvise accellerazioni. Ma è un atto che porta con se anche molta sofferenza e molto piacere almeno per i genitori, piacere che possiamo immaginare provi anche il nascituro che stretto nell’utero della madre deve cercare una via d’uscita per proseguire la sua vita.
Bene quest’immagine si è fatta strada nelle mia mente in seguito ad una discussione apertasi sul blog dei Los Lobos (Battesimi 13.10.2008).
Provo a sintetizzare le posizioni. Da una parte c’è chi dice che lo spirito con il quale va in bicicletta è uno spirito orientato al conseguimento del piacere: la via edonica.
Un altro fronte invece afferma che l’andare in bicicletta è un’attività che include la via edonica ma che non può prescindere dalla sofferenza.
Mi pare che le due posizioni estremizzino due approcci, che colloccherei all’interno di un continuum, nessuna delle due può forse essere data in modo puro ed assoluto.
Chi si colloca sul versante edonico, sembra essere, quasi spaventato che al piacere possa essere accostata la sofferenza (direi che si potrebbe parlare, per alcuni ciclisti, quasi di una perversione l’accostamento piacere sofferenza), mentre chi si colloca sull’altro versante tende a dare importanza a certi aspetti meno immediatamente riconducibili al piacere. Aspetti che a mio modo di vedere funzionano da mediatori del piacere, direi quasi da “costruttori” del piacere stesso.
Uso la parola sofferenza e non fatica perché mi pare che renda in modo più compiuto la complessità dell’azione dell’andare in bicicletta.
La fatica richiama ad uno sforzo che si compie ma viene in genere riferita ad un “lavoro” fisico.
Sofferenza ha nel suo etimo latino il germe che mina la soddisfazione edonica del piacere nel fare qualche cosa che ha dell’eversivo (dal punto di vista del piacere): procrastinare. Sub-ferre recita l’etimo latino: sopportare, senza questo passaggio mi pare che non ci possa essere piacere.
La mia provocazione nel dibattito sul blog dei Lobos va nella direzione di estremizzare e al tempo stesso meticciare le due posizioni. La dico in modo semplice: secondo me se si potesse escludere totalmente la sofferenza dall’attività ciclopedalatoria scomparirebbe l’attività ciclopedalatoria per come la conosciamo e probabilmente molto del piacere che essa ci regala. Come se si potesse pensare di evitare la sofferenza durante la nascita. Lo si può fare lo si fa ma l’esperienza che viene vissuta è un’altra esperienza; non meglio non peggio semplicemente un’altra esperienza; in natura la sofferenza del partorire è ineludibile sia per il pupo che per la madre.
Ma penso anche che una pratica ciclopedalatoria solo orientata alla ricerca della sofferenza possa per ovvi motivi mortificare irrimediabilmente qualsiasi piacere.
La pratica della bicicletta si fonda su di un atto solitario spesso agito in gruppo: tale condizione permette di utilizzarlo come veicolo di conoscenza di sé.
Ogni ciclista rimale libero di includere in questo atto più parti di sé, io per me includo sicuramente la sofferenza, ma certamente non è il mio fine e non è il solo elemento incluso.
Per me la sofferenza, entro un certo limite, rimane, nel pedalare, un fondamentale alleato da cui cerco di tenermi a dovuta distanza ma dal quale non mi posso distaccare completamente.
CENTINI
L'ultimo post che chiama a raccolta gli ardimentosi ciclisti nel giorno della Liberazione mi spinge a tornare su un argomento già oggetto di un mio post alcuni anni fa e che riposto per insano narcisismo parolaio.
Ci torno volentieri sull'argomento fatica e suoi derivati.
Negli ultimi cinque anni la persona con cui ho fatto il maggior numero di km su strada è certamente Messer Ghido (esiste anche una foto che ci immortala, ad imperitura memoria, sul MuurKappelmuur, e fu solo il coronamento di un lungo e spero duraturo sodalizio ciclopedalante). Devo anche dire pubblicamente che il sopramenzionato Messer Ghido è il ciclopedalante con il quale mi trovo meglio a pedalare.
I centini con il Messer in questione sono sempre pieni di sorprese. Capite bene che uno arriva all'appuntamento e vede appoggiata al muro una bici da crono e capisce che l'uscita in collina mostrerà il meglio nei tratti in pianura demolendo sicurezze costruite in anni ed anni di silenziose elucubrazioni. Sono sorprese! Ribalde!
Ci si trova ai piedi delle colline fidentine: dopo i saluti di rito si passa alla denigrazione del mio vetusto mezzo. Tale attività prosegue nel corso del giro, ma solo nella fase inizia: spesso il mezzo in questione si impadronisce della scena e con rumori sinistri, ostili impuntature del deragliatore, inspiegabili cambiate autarchiche, onerose pesantezze rotanti permette di arrivare rapidamente alle salite, che in collina sono tante e molto piacevoli.
Ecco le salite. Ma un passo indietro, poi torno sulle salite. Per molto tempo ho pensato che l'essenza del ciclismo (su strada) fosse la salita: ancora un po' lo penso, ma meno.
Da qualche tempo, Messer Ghido, si è incapricciato della velocità non motociclistica: pure lui invecchia. Da allora anche la pianura è diventata un piano inclinato.
In una delle ultime uscite, mi trovavo, nella per me strana posizione di tiratore di scia, quando mi rialzo, mi giro e dico: "cazzo ma oggi tira un vento della madonna, perdio, si fa una fatica porca ad avanzare". Dalla retrovia mi giunge un icastico commento: "...un par di coglioni, frocione, lo sai che la resistenza alla penetrazione aumenta col quadrato della velocità...". Riabbasso mestamente la capoccia e riprendo a pedalare con nuovo vigore: la conoscenza fa male, ma spesso aiuta a spingere: capisco che la giornata è tersa e che non c'è vento! Capisco anche che sono un emerito pippone ciclopedalante. Fletto la schiena mi incuneo nella pipa, la addento con voluttuosa incoscienza, arpiono con il naso il manubrio, avanzo di qualche millimetro in sella e riprendo a pedalare, in sudaticcia allegria.
Sono uscite nelle quali sperimento la fatica fisica insensata, non quella del minatore ne tanto meno quella dello studioso che cerca di risolvere l'equazione che regge l'universo, no, si tratta della fatica fisica pura. Si obbliga il corpo a fare un lavoro per il gusto di farlo: ha una sua logica umana, se così non fosse regrediremmo allo stato di amebe, che poi pure loro, per respirare una certa fatica la devono pur fare.
Il Messer Ghido mi porta a fare fatica, lui non me lo dice subito, io non glielo chiedo subito, un po' me lo aspetto ma anche un po' no, mi dico, fra me e me, che se poi certe cose le esterno troppo vengo dileggiato e allora mi incupisco e perdo la giusta posizione in sella...
Ultima uscita, risalente ad una decina di giorni fa, una lunga e panoramica strada in lenta ascesa verso Calestano. La giornata è soleggiata, siamo ad inizio aprile, non fa troppo caldo. La prendiamo allegramente, poi lentamente senza proferir parola aumentiamo la velocità, poi iniziamo a darci cambi regolari, sempre in silenzio, il traffico è molto leggero, ci si può concentrare sul movimento sulla pedalata, sul respiro che aumenta di ritmo, sul giusto rapporto per non marmorizzare le gambe prima del tempo. Proseguiamo così per parecchi km, fino a Calestano. All'entrata nel paese, prima della fontanella, torniamo in noi, il ritmo si abbassa, si passa alla posizione alta sul manubrio, la schiena si deflette, e il silenzio è rotto dalla voce del Messer: "per la madonna questo è andare in bici!", mi giro e vedo la faccia bella rubizza del mio compagno di pedalata, mi dico, ma pure io avrò quell'espressione che impasta il dolore della fatica al piacere di averla fatta? Penso di sì mi rispondo.
Per me abituato per formazione e per inclinazione personale ad utilizzare la parola come mezzo privilegiato per comunicare, l'andare in bici in certi modi è un grande unguento per l'animo. Silenziando la parola, (oltre una certa soglia di fatica diventa più difficile pensare, ma non certamente impossibile), che resta reclusa in un suo piccolo recinto mentale, prende il sopravvento il corpo nella sua animalità: movimento, respiro, movimento respiro, movimento respiro. Solo dopo averlo fatto può essere ricostruito, come sto facendo ora, e possono essere rintracciate delle idee, delle linee di senso.
L'aspetto piacevole è dato dal fatto che tale semplice lavoro di movimento e respirazione viene fatto in compagnia.
Aggiungerei anche, e forse è il cuore del piacere provato, che tale fatica è stata condivisa senza troppi calcoli ne premeditazioni: io ci ho messo il mio respiro e il mio movimento e Messer Ghido ci ha messo il suo respiro e il suo movimento, senza troppi calcoli ne risparmi, almeno da parte mia (ma conoscendo il Messer direi anche da parte sua). Gratuitamente, insensatamente, ostinatamente (che se non ti ostini, quadrato della velocità a parte, non progredisci, mi dico spesso e non solo pensando alla bicicletta).
Probabilmente tale modalità di azione affonda le sue radici nell'età infantile quando il gioco è il vero ed unico "lavoro" che il bambino fa per ore ed ore al giorno, senza che nessuno glielo chieda, così perché giocare è vitale, prima ancora che piacevole, come respirare o sognare durante il sonno.
Per la mia esperienza questo è uno stato di grazia: questo tipo di "lavoro fisico" mi è capitato di svolgerlo con molte persone differenti, alcune anche piuttosto estranee, ma devo dire che solo con poche riesco a trarre un piacere intenso.
A volte, dopo questo tipo di esperienze mi viene da ringraziare la persona che mi ha permesso di farle: a volte lo faccio a voce alta altre in silenzio, quasi mi imbarazza farlo: la genetica ligure spinge verso un'estrema riservatezza che spesso odora di forastico.
Sono certo, almeno per me, che se tale piacere fosse inserito in un discorso di gara a chi va di più il gioco diventerebbe un'altra cosa. Se l'ego si mostra troppo fortemente, nell'affermazione di sé, si perde il piacere, magari si arriva anche prima di qualche cosa o di qualche d'uno, ma...si entra in un'altra storia.
Centino della liberazione
Giovedì 25 chi vuole si presenti a Fornovo Taro nel parcheggio indicato in foto BDCmunito. Arrivare è facilissimo: uscita A15 Fornovo Taro girare immediatamente a sx e poi alla rotonda tenere la dx.
http://www.ilmeteo.it/meteo/Bardi
ABORTITO! la liberazione non importa più a nessuno...
19 aprile 2013
LA FINE NATURALE DELLE COSE
Conosciuta prima vero ?
http://www.bikeradar.com/gallery/article/bespoked-bristol-2013-huge-gallery-37017/110
Cielo che Ride!
Quella che vedete in foto è la Cielo 29 nr.2 mai fatta con tanto di couplings per poterla portare in aereo con facilità che ho avuto la possibilità di provare durante il mio ultimo viaggio in USA.
Sui suoi singletrack nei boschi è un gran mezzo fatto per esser comodo e stabile nella migliore tradizione USA (mi ha ricordato per caratteristiche la mia storica Yeti Pro-Fro).
La prenderei al posto della Frau Blucher? NO la Frau è una goduria superiore con il suo carattere più nervoso e latino, ma è comunque un mezzo di gran gusto ed efficacia.
L'Avvocato Paolo Spagnolo andrà all'inferno ciclistico per averla convertita a City Bike anche solo per un breve periodo !!!!