24 aprile 2012
LIEGI
Mi alzo dal letto, curva a destra, breve tragitto verso il bagno, apro la porta socchiusa e vedo un uomo seminudo riverso sulla vasca da bagno.
Sono perplesso, rifaccio il tragitto verso il letto: breve rettilineo curva a sinistra secca a 90° mi getto sul materasso. Aspetto. Mi rialzo e ritorno sui miei passi.
L’uomo seminudo è ancora nel bagno ma non è solo sta in compagnia di una bicicletta.
Lui l’uomo seminudo sta lavando una bicicletta nel mio bagno.
E’ veramente finita mi dico, è finita.
Sogno di essere in bicicletta, sta piovendo forte, ma c’è anche il sole che mi scalda le spalle, ma sento anche un dolore pungente alle gote: grandina.
Chicchi piccoli come lenticchie, percuotono con violenza il mio viso. Fa male, ma i sogni sono sogni, basta aprire gli occhi e si interrompono.
Li apro vedo delle ragazze sui vent’anni, in riva alla Mosa, sogno il loro parlare. Le sento ma non capisco le parole, vedo i loro occhi arrossati, devastati dall’alcool, sento le loro voci acute, sovrapposte, mi apostrofano.
Mi chiamano a loro. Sono delle laide sirene.
Il vento soffia mi avvicino scendo dalla bici, un odore di alcol misto a fumo mi investe forte, violento, risalgo in bici e scappo urlando.
Ci ripenso, nei sogni vale tutto, ritorno indietro e urlo con tutto il fiato che ho nei polmoni: andate a cagare…Loro ridono non capiscono, mi porgono il bicchiere semivuoto.
Sgancio i piedi dai pedali, mi avvicino goffo e gli sputo in faccia un liquido verdastro.
Loro continuano a ridere.
Il sogno continua. Fa freddo, molto freddo. Sento le mani irrigidirsi sempre più.
Ho sete provo a prendere la borraccia, mi sembra di averla stretta a sufficienza, la sfilo la porto alla bocca ma non riesco a bere, mi scivola.
Sono ricoverato in un reparto di neurologia di un ospedale indefinito.
Tutto bianco ascolto il medico vestito con un lungo pastrano che parla con l’infermiera, assomiglia ad una delle ragazze delle Mosa.
Parlano fitto fitto. Punto i gomiti per sollevarmi dal letto fletto il busto per avvicinami a loro ed ascoltare meglio quello che dicono.
Mi arriva uno schiaffo violetissimo: non c’è nulla da fare, bisogna amputare.
Sono le ultime parole del medico mi sveglio in preda ad una grande angoscia.
Ci sarà sempre l’uomo seminudo nel mio bagno. Sudo mi riaddormento.
Fa sempre freddo, ma non come nel sogno predecende: dipiù. Fa più freddo.
Però mi dico, nel sogno, le mani mi fanno molto male, ma riesco comunque a pedalare, meno male che i piedi non mi fanno male, mi dico nel sogno.
A volte nei sogni accade che uno si faccia delle lunghe chiacchierate con se stesso, come se stesse parlando con un’altra persona.
Non va bene mi dico se non sento più i piedi non va bene.
E continuo a pedalare. Ma perché sto pedalando?
Nel sogno pedalo, nei sogni si fanno tante azioni strambe, a volte si riesce a volare oppure a nuotare sott’acqua per ore ed ore come Submariner, io nel sogno sto pedalando dentro una foresta incantata.
Milioni di alberi di bellissimi abeti rossi, alti austeri, tetragoni alle intemperie, vivi da millenni.
E io pedalo in questa foresta.
Piove, ma c’è anche il sole, e le lenticchie gelate mi frustano il viso.
Nel sogno mi dico, ma come può essere, cosa può accadere ancora?
Nei sogni a volte si materializzano domande senza senso che nascono dalla curiosità impertinente di qualche ammasso di cellule cerebrali.
Continuo a pedalare ed inizia a soffiare un vento malvagio ostile, cattivo.
Nei sogni a volte si attribuiscono intenzionalità agli elementi naturali, accade anche nella veglia, a volte.
Il vento ha la forza primigenia della natura, soffia per il puro gusto di soffiare non ci sono motivazioni.
Nel sogno cerco di parlare con il vento, faccio finta di essere suo amico.
Lo blandisco, riconosco che è proprio un bel ventone potente e vigoroso. Ma nulla non accenna a dimunire, lo sento entrare nell’orecchio destro, percorre tutto il meato uditivo, ghermisce il nervo acustico ma non gli basta.
Nei sogni a volte il vento sembra insaziabile, irrefrenabile, dispettoso, a volte perfido.
Raggiunge il cuore profondo del cervello, l’amigdala, il giro del cingolo, brutalizza l’ippocampo e poi se ne va, esce dall’orecchio sinistro.
Nel sogno non sono più io, guardo da lontano un omuncolo piccolo piccolo che pedala in mezzo ad una foresta. Nel sogno soffro ma è una sofferenza per interposta persona.
Lui l’omuncolo è là giù, pedala nella foresta incantata, io lo sogno lo guardo dalla finestra avvolto nel tepore familiare di una stanza d’albergo.
Mi desto ho i brividi, entro nel bagno ho paura di trovare l’uomo seminudo che lava la sua bicicletta. Apro la porta e riprendo a sognare.
Sono sotto la doccia, apro l’acqua calda, continuo sentire freddo, apro al massimo il rubinetto e mi metto sotto il getto potente della doccia.
Passano i minuti, le ore, i giorni, nei sogni il tempo non ha più dimensioni, non ci sono mezzi per misurarlo.
Mi aggrappo alla doccia e sento l’acqua scorrere sulla pelle.
So, ma il sapere dei sogni è un sapere spesso fallace, che l’acqua è bollente, ma ho sempre freddo sempre più freddo. Ho paura.
Nei sogni la paura è una paura panica a volte, è la paura di un bimbo che ha perso la sua mamma, è una paura senza riferimenti, ma non basta sapere queste cose, la paura cresce a dismisura.
I piedi iniziano a pungere come trafitti da milioni di spilli invisibili, le mani, nel sogno può accadere a volte, mi cadono nella vasca, e colano via insieme all’acqua.
Poi i polsi, anche loro giù, le braccia, giù: lentamente la pelle si sfalda e cola via come vernice in eccesso.
Ho paura ma meno, nei sogni a volte mi dico, sognando, nei sogni a volte succedono delle cose terribili che fanno stare meglio.
Ora le mani non ci sono più.
Scomparse anche le braccia, aspetto che lentamente si sciolgano anche i piedi è un piacere strano. Pezzi di corpo ghiacciati si sciolgono come icesberg al disgelo.
Nel sogno nella vasca rimane solo un piccolo grumo di cellulle sudate: ridono e guardano con soddisfazione l’ultimo lembo di pelle sparire nel buco della vasca.
Pedalo sotto la pioggia e vedo in lontananza un prato verde, pedalo lentamente mi avvicino noto degli animali. Nel sogno a volte ci sono anche gli animali.
Continuo a pedalare sempre più piano, sono ben strani questi animali, mi dico nel sogno.
Sembrano vacche, hanno quattro zampe, ma sono pelosi come bobtail, hanno code di castoro, lingue da varano, e cantano come usignoli.
Pedalo, pedalo, ed urlo, invoco la Divinità. Ma non ci sono dei nel mio sogno. Sono solo.
Solo in una piazza straniera. E’ un topos classico del sogno. Il sognatore si trova in un paese straniero e sconosciuto, solo in mezzo ad una piazza.
Vedo in lontananza tre uomini. Mi par di conoscerli. Loro mi conoscono. Dove stai andando mi chiedono gentili? Non lo so, per di là penso. Vieni con noi dai. Li seguo.
Nei sogni accade anche questo. Ma voi dove andate? Anche noi andiamo per di là! Allora mi unisco. Ma perché andate per di là? Perché abbiamo voglia di andare per di là. Nei sogni a volte certe domande producono certe risposte.
Ma per di là ci sarà il sole? Non fare domande imbecilli, nelle Ardenne piove sempre…pedala e non pensarci più.
Mi sveglio in preda ad un assalto di fame, vado in bagno per svuotare la vescica (è strano cosa ci azzecca la fame con la veschica da svuotare, i sogni son ben strani a volte) e vedo che l’uomo seminudo è sempre in compagnia della bici nella vasca.
Capisco che sto ancora sognado, la fame non è fame è desiderio inappagato.
Torno a dormire, nel sogno mi vedo penetrare il bianco candore delle lenzuola.
Mi addormento quasi subito.
Sono in una radura popolata da persone poco vestite, fa sempre freddo molto freddo.
Ma io ho fame, molta fame. Devo mangiare.
Cerco di raggiungere la tasca posteriore della maglietta, ho portato con me alcuni panini al prosciutto.
Nei sogni quando si pedala per un tempo infinito è buona cosa portarsi dei panini al prosciutto, dei panini alla bresaola, dei panini con il salame di Felino, alcuni panini con il salame cremonese, dolcemente aromatizzato con l’aglio di Monticelli d’Ongina, alcune cassate siciliane, uno, ma meglio due stinchi di porco, qualche fetta di torta alle nocciole (le nocciole sono alimenti molto calorici), un casco di banane, alcune susine, qualche albicocca, delle ciliegie che hanno un che di erotico, che durante le lunghe pedalate, può confortare la gambetta esausta, sempre nel sogno è meglio portare anche qualche salsicciotto tirolese, meglio se accompagnato da cavolo verza cotto in ottimo aceto, polenta, ah la poleta portata nei sogni ha un sapore insostituibile, alcuni nei sogni portano caramelle, patatine, zuppe liofilizzate da sciogliere in apposite borracce termiche.
Ho fame tanta fame. Cerco di prendere il panino ma non ci riesco.
Ci provo, a volte nei sogni succede di non riuscire a fare una semplice azione quotidiana, allacciarsi le scarpe, camminare, infilare la chiave nella toppa, respirare (questo accade nei sogni in forma di incubo).
Provo, riprovo, ma non riesco a rotare completamente la mano destra, provo con la sinistra, incrocio il braccio sopra il petto e cerco di infilare la mano sinistra nella tasca destra, ci riesco dopo molta fatica.
A volte nei sogni si sanno cose che nella realtà non sempre si sanno, a volte accade anche questo nei sogni.
So che dentro la tasca c’è un panino al proscitutto, ma nei sogni potrebbe anche essere un panino con le susine o un panino con la polenta o un panino di susine con dentro il pane, nei sogni tutto si confonde e tutto si tiene.
Infilo la mano, protendo per quanto mi è possibile il dito indice, lo allungo, come l’antenna telescopica di una radiolina portatile, accade pure questo nei sogni.
Il dito si allunga e sentendosi solo invita anche i suoi fratellini nell’impresa.
Tutti insieme si protendono verso il panino, la fame è sempre più forte, le dita sono ormai lunghe cinquanta centimetri, si muovono nella tasca come serpi.
Nulla non trovano nulla: so, nel sogno, che c’è il panino, ma le dita aspidi non lo trovano.
Ora nel sogno vedo il panino, vedo le dita che lo toccano ma sento che le dita non registrano nessun contatto.
Provo ad afferrare il panino, ma non ci riesco, riprovo, ma nulla.
Ritraggo la mano, e nel sogno le dita sono proprio come le dita della realtà: lunghe, magre e ossute. Le guardo provo a sfiorarle con l’altra mano: si frantumano in mille pezzi esplodono e si strasformano in milioni di piccolissimi cristalli iridescenti.
Nel sogno può accade anche che il non mangiare un panino sazi oltre ogni più rosea previsione. Riprendo a pedalare.
Sono nuovamente solo, strano mi dico nel sogno, prima ero in compagnia di tre amici, ora non ci sono più.
Pedalo un falso piano. Tale infida espressione nel sogno indica un piano, che si mostra in un modo ma poi in realtà è un altro, falso.
Nel sogno l’offerta malvagia si mostra sempre così: strada piuttosto dritta, che inizia per qualche metro a scendere, poi ad un certo punto, in modo inspiegabile, l’inclinazione cambia e la strada prende a salire, ma sembra che sceda o che vada semplicemente in piano.
Nel sogno tale situazione disorienta.
Urge cambiare rapporto; dal grumo neuoronale situato nella testa parte un impulso semplice e chiaro: muovere il pollice destro, portarlo sopra il pulsante nero del cambio ed applicare una leggera pressione atta a far deragliare la catena da un rapporto ad un altro di minor dentatura. Nel sogno un semplice impulso produce un movimento troppo fiacco. Il pulsante nero pare saldato alla leva del freno.
Dopo vari tentativi stacco la mano sinistra dal manubrio e premo con il palmo della mano. Clank la catena trova un suo nuovo rapporto d’amore.
Un brivido di terrore mi sveglia nuovamente.
Cerco con la mano la bottiglia dell’acqua, ma non la trovo.
Vado in bagno entro e l’uomo semi nudo è sempre intento a lustrare la sua bici, lo saluto, mi ci sono ormai affezionato, bevo un sorso d’acqua lo risaluto con un gesto lieve della mano e torno a letto.
Svengo. -Mario quanto manca? -Cento km… -Ma scusa ne mancavano novanta due ore fa! -Ora ne mancano cento. -Mario ma tu chi sei? -Io sono il Leone delle Fiandre -Ma qui siamo in Vallonia? -Non dire cazzate Gandolfo, qui siamo in Vallonia e io sono il Leone delle Fiandre. -Ma non è quello che ho detto io? -Basta infingimenti, Gandolfo! -Quanti km mancano, Mario? -Centoventi! -Ma erano cento solo poche parole fa… -Ora sono centoventi…pedala Gandolfo! -Ma dove stiamo andando, Leone? -Per di là! -Ma ci manca molto? Dov’è l’aldilà? -Per di là Gandolfo, non dire cazzate, l’aldilà non esiste, noi andiamo per di là. -Posso baciarti, Leone delle Fiandre, mi sono innamorato. -No, non puoi. Siamo in Vallonia -Ma se fossimo in Sassonia, potrei? -No, non potresti -In Slavonia…? -Pedala Gandolfo, non sai quello che dici, pedala, mancano 140 km!
Cerco di svegliarmi, ma a volte nei sogni accade che uno cerca di svegliarsi e non ci riesce, ci prova si sforza, ma nulla continua a sognare.
Ormai pedalo da ore in questo posto freddo e piovoso.
A bordo strada vedo un furgone bianco un uomo vicino gesticola nella mia direzione, lo guardo ma è come se non lo vedessi, un colpo di pedale dietro l’altro, uno dietro l’altro. Mi urla qualche cosa, l’uomo vicino al furgone.
Lo guardo ma non lo vedo, sono sempre più vicino, mi fa dei gesti, mi invita a salire, parla in una lingua sconosciuta, lo supero e lo mando a cagare.
Con forza rabbiosa. Dopo pochi secondi inizia a piovere con maggiore intensità, poi improvvisamente smette, penso, sì nel sogno a volte il protagonista pensa dei pensieri assurdi e li dice ad alta voce.
Forse il tempo sta migliorando, magari uscirà il sole. Inizia a grandinare, prima forte poi fortissimo poi esageratamente fortissimo.
Capisco che quell’uomo non era un uomo ma era il Salvatore, il Gesù Cristo morto in croce per la nostra redenzione.
E io l’ho mandato a cagare.
Ora grandina fortissimo, mi dico, vabbè cosa potrà accadere di peggio, un colpo di pedale dietro l’altro, un colpo di pedale dietro l’altro.
Nei sogni a volte può accadere di farsi delle domande retoriche. In genere nella realtà le domande retoriche aprono a risposte scontate.
Nel sogno il Mont-Theux non è scontato. Si palesa.
Monte, nei sogni le parole prendono spesso significati e valenze non ordinarie.
Non è un monte, è una piramide Maya senza scalini, millecentometri al 12%. Grandina. E si palesa il Monte-Theux.
Un colpo di pedale dietro l’altro un colpo dietro l’altro, le macchine che passano vicine, veloci, rapaci, capaci, audaci, fallaci e basta mi dico nel sogno che cazzo ci trovi ad allitterare, il Mont-Theux è come il Golgota, hai rifiutato Gesù, e ora ti tocca il Golgota.
Mi sveglio, mani giunte, ginocchia flesse…Sento dei rumori nel bagno, mi alzo e vedo un uomo seminudo riverso sulla vasca da bagno.
Sono perplesso, rifaccio il tragitto verso il letto: breve rettilineo curva a sinistra secca a 90° mi getto sul materasso.
Aspetto.
Mi rialzo e ritorno sui miei passi.
L’uomo seminudo è ancora nel bagno ma non è solo sta in compagnia di una bicicletta. Lui l’uomo seminudo sta lavando una bicicletta nel mio bagno.
-Scusa Ema posso usare il tuo asciugamano per pulire la Trek? L’uomo seminudo mi parla. -Si France usalo pure, se vuoi ho anche della crema antiemorroidale da mettere sulla guarnitura…
-Ma non dire cazzate…
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14 commenti:
ema sei immenso surreale
Immenso!
spettacolo!!!
La realtà e i sogni. Quale sarà mai la finzione? Eccellente Gandolfo..
Eam ha ritrovato la voglia di scrivere (e l'account per postare)... GOOD NEWS!!
Azz.....
Complimenti Ema
Marco
I can't read all of that, but the cows sure have nice beards, not as good as Boffo (or Beardo) and myself. Glad you all had "fun" at LBL. Ed
Pedala Gandolfo!!! Bejssimo!!!
A metà lettura ho dovuto mettermi una coperta sulle gambe ..... Teribbile !
accidenti mi sembrava di essere lì..
bravo ema!!
lukegps
Bravo Ema,finalmente scrivi....comunque è stato un piacere arrivare con te e borz a liegi.
Un uccellino mi ha detto che e' stata dura.......ma non pensavo cosi' dura.
Ema, se tu fossi una gnocca mi innamorerei di te!
Bye
meraviglia ema!!!
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