12 dicembre 2010

MONTAGNETTA

Mi sono riconciliato con la tentacolare metropoli.
La seconda prova del circuito singolcross ha avuto luogo nella ridente location metropolitana del Montestella, la montagnetta che gli alacri milanesi, sotto la guida dell'architetto Bottoni, hanno costruito alla fine degli anni quaranta con i detriti dei palazzi distrutti dalla guerra. Il nome è Stella, Montestella, in onore della moglie dell'architetto.
Fa impressione pedalare in un posto del genere.
La montagnetta svetta incerta su di un panorama che solo la notte fredda e buia rende meno inquietante.
Più di cinquanta persone si sono date appuntamento per cimentarsi su di un percorso piuttosto infido che ha lasciato sui corpi dei valorosi bikers non pochi segni.
La montagnetta al calar delle tenebre diventa il luogo ideale per incontri mercenari.
Il primo lo faccio durante la fase di riscaldamento che ogni volta mi riprometto di fare e che mai porto a conclusione.
Pare che prima di uno sforzo intenso e breve sia buona norma mandare qualche segnale fraterno al proprio corpo. Condizionarlo allo sforzo, portare in temperatura le miofibrille, sollecitare il cuore, invitarlo a predisporsi ad un surplus di lavoro: serale ed inconsueto.
Bene mentre mi stò accingendo a fare tutto questo una giovane donna intenta a passeggiare fiduciosa sul suo pezzo di marciapiede mi interroga curiosa: "ma c'è una gara questa sera? Ma vi pagano?". No rispondo, si tratta di un ritrovo di amici, lei mi scruta perplessa aggiustandosi il giubbotto troppo piccolo per il suo corpo, insiste curiosa: "Ma il primo che arriva vince dei soldi?".
Rido con lei, che ormai ha capito la situazione, e aggiungo che lo facciamo per divertirci non ci sono soldi in palio, annuisce, ci salutiamo mi augura buona fortuna e riprende la sua attesa.
Mi sono ormai dimenticato del programmino di riscaldamento, mi dirigo pensieroso verso la partenza.
Il percorso è piuttosto vario salite discese e vialetti in piano. Le salite sono salite, la prima su terra è molto bella, breve, ma secca, si impenna verso la fine, totalmente al buio. A pochi metri dal valico un fetido scalino. In fase esplorativa vedo lo scalino, mi preparo per saltarlo, salgo sui pedali e sblang, staffilata di ramo in faccia.
Scendo dalla bici e mi dedico ad una intensa fase di potatura autarchica: si tratta di un ramo secco, lo estirpo e proseguo.
A mio parere il pezzo più bello del percorso: esaurita la salita senza soluzione di continuità ci si butta in discesa, dolce curva a destra su brecciolino piuttosto stabile, breve tratto in piano curva secca a destra in salita poi nuovo tratto in falso piano, più falso che piano. Transito nella zona arrivo.
Si prosegue la salita e poi giù a rotta di collo. Ecco la discesa, orpo, piena di pericoli di ogni sorta. Foglie secche che nascondono pietre, banchi di giaia mobile: se ci entri male o cadi o vieni assorbito dalla massa pietrosa come nei fumetti di Zagor,quando l'incauto di turno si trovava inghiottito fino alla cintola dall'infida sabbia mobile. Uguale solo che al posto della sabbia sulla montagnetta ci sono le pietruzze.
I primi giri sono un calvario, mille salite mille, ma la ghiaia in discesa no! La bici pare un cavallo imbizzarrito, va dove vuole lei: non è vero che si tratta di oggetto inanimato; date certe condizioni la bicicletta ha una sua vita, e la tua vita dipende dalla sua. Bisogna portare rispetto a questo impeto autarchico ogni tentativo di contrastarlo porta ad una sicura e rovinosa caduta.
Ma non ci si può distrarre, a metà gara sbuca come un fantasma un giovane strano vestito, in un attimo lo guardo e cerco di intavolare un dialogo del tipo, ok tu sei qua io sono qua, tu stai andando là io invece vado là, passo a destra tu prosegui dritto verso la tua sinistra, vero?
Ma si tratta di un dialogo silenzioso, le parole non escono e l'impatto viene evitato per pochi centimetri.
Sto quasi per mandarlo allegramente al diavolo, ma mi trattengo.
Sono io l'intruso, mi sento in una condizione di minorità: lui sta lì a lavorare, immota attesa di oscene proposte, io invece, quasi immoto (il mio ritmo di gara è prossimo al surplace) sono l'alieno, che sfidando il freddo e la notte buia pensa di usare la montagnetta come un circuito di formula uno. Mi sembra irrispettosa e oscena la mia posizione.
Per un paio di giri mi tiene compagnia l'immagine del volto bianco e scarno del ragazzo, nascosto artatamente da un ciuffo nero che lo rende simile ad un personaggio di Tim Burton. Ma non siamo al cinema, è tutto vero: è questo che mi disturba della montagnetta. Il disturbo nasce dalla contiguità di due esperienze che usualmente sono, almeno nella mia mente molto distinte.
Il piacere di pedalare da una parte e il degrado tipico della metropoli tentacolare dall'altra.
Lo scorso anno ricordo i cartoni stesi a terra da un gruppo di clochard, le loro poche cose, il fornelletto per il caffé i cartoni di vino, e noi allegri e fradici sotto la pioggia intenti a fare i nostri giri di campo.
Il contrasto diventa stridente, non ci si può nascondere: mondi alieni si sfiorano senza parlarsi ci si guarda da opposte rive e ci si scansa.
La montagnetta è anche questo, uno sbatterti in faccia senza troppo ritegno alcune brutture della vita.
La montagnetta è reale.
La mente organizzatrice della serata è racchiusa a stento nel corpo febbrile di PiGi. Orpo ogni volta che lo vedo sento che il mio essere viene attraversato da un flusso di elettroni imbizzarriti. Scendo dal furgone lo saluto e vedo che è intento a tambarare con una borraccia, apre un tubetto prende una pastiglia e la butta nell'acqua. Orpo si tratta di caffeina mi dice, ma dico io fra me, senza dirlo a voce alta, ma un caffè al bar come diocomanda no! Diavolo di un abitate metropolitano...sei già dotato di una quota non comune di eccitazione, devi pure incrementarla con la pasticca di caffeina, penso e intanto mi sbocconcello un pezzo di focaccia comprata nel ridente mercatino della montagnetta, si perché alla montagnetta c'è anche un mercatino triste come il crollo di una diga.
La gara mi regala altre esperienze liminali: son lì che arranco faticosamente e sento che i cespugli intorno a me mormorano, paiono vivi, al loro interno accadono cose inenarrabili. Intravedo bocche fallofoghe, culi pelosi, arti aggrovigliati, penso, la mamma me lo diceva sempre da piccolo "non prendere nulla dagli sconosciuti!", forse la focaccia conteneva oppio, ketanima, trementina, granitina, candeggina, sai siamo a Milano, la città tentacolare, penso, metti che oltre alla farina, al lievito e al sale, nella focaccia ci mettono pure la ketamina, metti. Ho delle visioni, la terra intorno a me sussulta pare viva...
La montagnetta è reale.
In lontananza vedo una scia di luce, ecco ci sono, ho mangiato troppa focaccia, ecco, ora mi apparirà il buon dio per accompagnarmi all'inferno, girone dei lussuriosi. Aguzzo la vista si tratta di PiGi, la caffeina sta producendo il suo effetto, la luce si perde assorbita da una nuvola di fumo sempre più denso dal vago sentore di moka.
Inizio a dare i numeri, passo al primo giro e non dico nulla al secondo 12 il mio, al terzo giro 69, così di getto, forse la contaminazione del luogo sta iniziando ad agire dentro di me, quarto giro, 1239, al quinto giro do il mio codice fiscale sbagliato al giro successivo lascio la partia iva, sono molte cifre, mi confondo, la ripeto più volte ma non riesco mai ad arrivare alla fine, allora opto per il codice PIN, al successivo passaggio urlo il codice PUK, sempre più stanco procedo, ormai mi sembra di aver percorso centinaia di giri. Chiedo ad una signorina del luogo di aiutarmi, mi scrive sulla mano un numero di telefono, do pure quello, appena finito di urlarlo, molti fra i presenti si affrettano a digitarlo sul loro palmare. Non capisco ma proseguo.
Provo la cifra esatta del debito pubblico (orami ho capito che la mia gara finirà quando saprò dire il numero giusto). No mi dicono, riprova al prossimo giro. Ma quanti ne mancano? Tanti pedala pelandrone!!! E io pedalo e pedalo, sono sempre più affranto, da un cespuglio ubertoso salta fuori Tremonti mi si para davanti alla bici, punta l'indice della mano destra verso i miei occhi ed inizia ad inveire: "l'hai pagato l'acconto, povca puttana povca, l'hai pagato l'acconto, lo so io che non lo hai ancora pagato, povca puttana, l'acconto lo devi versare, lunedì controllo, te fa faccio passave io la voglia di fave il cazzone il sabato seva!!!". Sono tramortito pensavo che l'ircocervo fosse stato definitivamente sepolto dal fango di Rockville....
Continuo a girare e a dare i numeri, ormai non c'è più nessuno, io proseguo fiducioso... prima o poi il numero giusto riuscirò a dirlo...prima o poi!
La Montagnetta è reale.

9 commenti:

mr. friess ha detto...

anche un po' surreale

ghido ha detto...

ma allora il riscaldamento (al monocipite inguinale) lo hai fatto! anzi, per la precisione, te lo sei fatto fare...

gallinarandagia ha detto...

la bici è uno strumento di aggregazione....quindi pigi ...per l'anno prossimo propongo di coinvolgere una parte del popolo che vive alla montagnetta....puttanone a gogò come premio di consolazione....

Anonimo ha detto...

seratona eh!!!!????

BOB ha detto...

1^ gallery qui

Nacho Libre ha detto...

Bella prosa, pero! Un po' kafkiana, ma bella. Direi di indire un punteggio a latere, anche per meriti artistico-letterari.

Anonimo ha detto...

E' UNO DEI TUOI MIGLIORI SOGNINCUBI LETTERALI, COMPLIMENTI EMA.

UN COMMOSSO JD.

Anonimo ha detto...

...oggi ho visto di sfuggita la nipote bbona della santa: mi ha fatto delle rivelazioni sconcertanti! Se troverò il coraggio scriverò....

ema

Anonimo ha detto...

Ema! Racconto fantastico! E la prossima volta mandalo al diavolo il giovane variopinto! ;-D