24 aprile 2008

MODENA


Tanto per non lasciarvi a bocca asciutta vi posto un raccontino ormai datato, ma spero sempre divertente.

MODENA (marzo 2008)



Dove eravamo rimasti?
Villarocca, una fredda domenica di gennaio, immersi nella nebbiolina lanugginosa della bassa cremonese gambe sotto al tavolo, stomaci in subbuglio nell’ assaporare uno dei cotechini più buoni del mondo.
Ma ve la devo raccontare questa domenica di inizio marzo, di quasi primavera, con la neve che copre le colline modensi e le solite gambe sotto al tavolo, ma questa volta non è più la piatta campangna lombarda a fare da location: sono le colline dolci e perfide che invitano le gambe a pestare con vigore su magnifiche e sempre più esoteriche guarniture.
Guarniture? Ma cosa dici, Umile Cronista, di quale guarniture stai parlando.
Dovete seguirmi e ve lo svelerò. Si tratta di cibo non commestibile, ma ora ve lo devo spiegare bene, perché pure io possa comprendere l’arcano che collega il legno del tavolo, il metallo prezioso, e il lardo aromatizzato. Tutto si lega, un battito d’ali di una farfalla a New York può provocare un terremoto in Giappone.
Domenica mattina, ore 6,45 suona la sveglia; sta iniziando una domenica da ricordare, o forse è solo il battito d’ali di un qualche volatile che produrrà l’ennesima esperienza al limite del paranormale?
Domenica mattina presto, la città di Cremona si presenta spettrale e vuota. Vuota di rumori e di persone, due bipedi però già armeggiano per prepararsi: Spiedo e l’Umile Cronista.
Dove stanno andano di domenica mattina? Ad incontrare altre persone ovviamente!
Il punto di confluenza è il ridente parcheggio del casello dell’A21. Il quintetto base di cui l’umile vosto cronista si fregia di partecipare si compone di 5 umani ma questo è solo un accidente, le protagoniste del ritrovo sono le biciclette che stanche di poltrire in cantine umide e fredde hanno deciso di apparecchiarsi un rendez-vous. E che biciclette. Sono cinque favolose singlespeed, per dirla all’italiana delle bicilette monomarcia. Nell’era dei computer anche per controllare la temperatura della cuccia del cane, loro i cinque umani si ostinano a consierare la bicicletta per quello che è: un telaio, due ruote due freni un manubiro pedali due una catena e due semplici rapporti che hanno il compito di trasformare un movimento stantuffante in un moto lineare e possibilemente continuo. Niente cambio insomma: ti devi gestire mi dicono; hai voluto la bicicletta ed ora pedalala.
Sono belle le singlespeed. Si tratta di un ritorno alle origini, che le origini rifiuterebbero con uno scaracchio bituminoso. Vi ho già parlato di mio nonno. Bene lui era un uomo del secolo scorso, classe 1909: guerra in Africa, fratello morto sul Don, la devastazione della seconda guerra modiale, e poi la fame, l’emigrazione per camparsi la vita, insomma il percorso che in milioni di umani a quei tempi in tutta Europa fecero per provare a vivere. Bene, nei racconti del nonno si parlava anche di fame, quella vera, quella che non puoi rimandare al giorno dopo sapendo che poi la sazi, e si parlava di pane, pane nero a basso contenuto di farina, ecco io provavo, nel mio periodo salutista a spiegargli che il pane integrale conteneva tutto un ben di dio e che lo si doveva preferire a quello bianco. Lui mi ascoltava e poi scuoteva la testa. Ecco sono certo che le singlespeed sarebbero guardate dai pionieri ciclopedalatori con sospetto, come un lusso esoterico di una stirpe ormai contaminata e forse perduta.
Ma siccome non possiamo verificarlo non ci resta che riconoscere che una singlespeed è bella di una sua bellezza pura e semplice, una bellezza che recupera l’essenza della pedalata: una bici a misura d’umano.
Ma i cinque umani di cui sopra lo sono?
A prima vista la risposta è affermativa, ma…c’è un ma che va considerato. Per riconoscere un umano serve un termine di paragone. Se voi vedete al bar un essere con pelle verde tre occhi e due antenne al posto delle orecchie allora potere dire si effettimanete il tipo non sembra umano. Ebbe a me è successo di riconsiderare l’umanità, la mia e quella dei miei compagni.
Questa riconsiderazione categoriale si è compiuta poco dopo le 9 al casello di Modena sud, si perché i cinque hanno appuntamento con un’altra persona, anzi due (vedremo poi che le cose non sono così semplici) per poi dirigersi al punto di ritrovo finale nel quale scopriranno che un settimo umano indigeno, dal nickname inquietante, Tarantola, li aspettava per iniziare un’allegra pedalata nelle ridenti (ridenti un cazzo dirà poi il cronista sempre umile) colline modenesi.
Bene dove eravamo rimasti, ah si al casello di Modena Sud. Mentre aspettiamo l’amico americano in arrivo da Vicenza vediamo arrivarre Antonio dall’Oltre Po Pavese.
Immaginate la scena. Cinque umani che girano intorno ad un furgone carico di biciclette alle 9 del mattino di domenica, arriva un sesto ciclopedalatore saluti di rito, e poi da una sacca, del nuovo arrivato, esce una mela a breve ci verrà chiesto se gradiamo delle cose rosa gommose da mettere in bocca: orpo pensa il cronista, oggi la giornata si fa pesa.
La risposta è unanime: te le mangi te le cose rosa gommose da mettere in bocca. Questo è quello che il cronista si sente di raccontare, ma dovete sapere che i cinque uomini hanno anche una dignità, e se uno, per quanto conosciuto e amico, la domenica mattina alle 9 gli vuole offrire una cosa gommosa rosa da mettere in bocca scatta immediato il riflesso condizionato, si tratta di mettere in chiaro la propria virilità per se stessi e per il proprio rango nel gruppo. Vi lascio immaginare, oh salaci lettori, i commenti con cui l’offerta è stata rispedita al mittente.
Ma siamo solo all’inizio, dobbiamo ancora salire e scendere varie colline, fronteggiare salumi e grassi vari, addentrarci in soffitte favolose e soprattutto scoprire che quello che a Villarocca era stato inquadrato come un femomeno allucinatorio ora si ripresenta.
Bene si aspetta l’amico americano che si materializza con una macchina tedesca, primo segnale di disorientamento concettule. Scende dalla macchina ed il cronista viene riportato indietro di due mesi. Allora esiste, Terrence Bollea al secolo Hulk Hogan “The Incredible” è ancora fra noi. Ora si fa chiamare Ed e dice di vivere a Vicenza felicemente coniugato con un medico di stanza alla base americana. Ma all’umile cronista pare chiaro che si tratta solo di una copertura. Questo pensiero non lo comunica a nessuno voi siete i primi a cui l’Umile Cronista lo dice.
Ed, chiamiamolo così per non complicarci la vita, ma voi sapete che si tratta di Hulk Hogan “The Incredible” si presenta all’appuntamento. Sarà una giornata speciale.
I baldi lombardi più l’amico americano si ritrovano in un parcheggio pre collinare. Che cosa fanno uomini adulti alle 9,30 di una domenica mattina di inizo marzo: si spogliano per abbigliarsi in modi più acconci per prepararsi alla scorribanda ciclopedalatoria.
Voi direte: embèèèèhhhh. L’Umile Cronista deve aggiungere che il parcheggio confina con un parco pubblico che per sua natura è stato pensato per accogliere famigliole e figliolalza in età pre-pubere. Ora ci si potrebbe domandare se il fatto che alcuni uomini in età matura si aggirino per parcheggi in abiti adamitici possa essere ravvisabile come un oltraggio al comune senso del pudore? Chiediamocelo.
Nessuno pare esserselo chiesto. E vi dirò dipiù, al ritorno, i rudi uomini ciclopedalatori, memori degli interdetti materni (ti sei lavato? Sotto le unghie tieni una morchia tanta, vai subito a fare la doccia puzzi come un facocero in calore!) che mai si dimenticano, si laveranno ognuno secondo la propria consuetudine: chi pudicamente alla fontanella, chi invece più allegramente innondandosi con taniche portate, all’uopo, da casa, piene di limpida e virginale acqua del sacro fiume Po che tutti ci monda e netta (pare che l’acqua portata da casa sia stata pure riscaldata per rendere meno traumatica la singolare doccia. Quest’ulitmo particolare ha dato modo a Marcello, virile ciclopedalatore unno-bresciano di scatenare un diluvio di improperi alla volta del basso-padano) Questo è successo e questo va detto. Pare che il Corriere di Modena abbia segnalato il fatto e che sia in corso una petizione popolare per dotare il parcheggio di comode docce, e centro ristoro. Il ciclopedalatore in periodo di elezioni è comunque un potenziale votante che non va assolutamente trascurato ma la quiete domestica del pargolo modense va ben tutelata, orpo di un’orponero.
La truppa è pronta l’Umile Cronista scruta con attenzione l’amico americano; forse si metterà il costume di Hulk o magari quello di Thor il dio del tuono figlio di Odino. No nulla di tutto questo, sfoggerà una maglietta in lana di foggia antica, quella che si usava il secolo scorso quando la biciletta correva solo su lindi nastri d’asfalto.
Gli altri europei per loro natura più attenti al look hanno sfoggiato vezzose misè da pedalata en plein air. Per la cronaca l’umile cronista vestiva un paio di bermuda con protezione scroto perineale di marca: NO FEAR. Tutto un programma. Di lì a poco la paura si attorciglierà ai glutei asfittici. Si perché il pronti via si parte mette a nudo una semplice quanto ineludibile verità: la salita è dura.
Si perché per una insopprimibile legge altimetrica dalla pianura alla collina ci si va salendo, solo che l’erta si mostra subito selettiva. Il gruppo angloitaliano si muove compatto e spensierato: chi parla, chi si aggiusta sulla bici, chi scatta foto, ma lei arriva ripida e rapida. Il gruppo si sfilaccia, la frenquenza cardiaca sale rapidamente oltre soglia e conseguentemente la pedalata raggiunge frequenze con cadenze geologiche.
Lui Ed l’americano, e il cronista ve lo aveva detto, siamo in territori alieni, anche quando inzia l’erta prosegue a fare foto, mani staccate dal manubrio ovviamente, clic panorama, clic primo piano del compagno arrancante, clic particolare della guarnitura, clic altra foto al panorama, clic. Mentre la strada forza verso l’altro: è solo uno strappetto bastardo, ma i mugugni si alzano; ma cosi a freddo…porcadiquellaporchissima…
L’idea era quella di assaporare un singletrack, ma il tempo impazzito, ha fatto cadere neve e pioggia in abbondanza. Risultato strade impraticabili. La sgambata si muoverà su vil asfalto…Ma qui l’Umile Cronista deve segnalare un fatto increscioso che mette in risalto i tratti sadici del gruppetto. Arrivati in cima ad una salitella non propriamente pedalabile alcuni spingono per scendere verso Castelvetro di Modena per campi e sentieri. Vai tu, no non ci penso neanche ma dai si potrebbe…In questo caso il gruppo tentenna, ma eleva la pressione e da lì a poco la vittima sacrificale emerge senza che si sia dovuta applicare alcuna coercizione esplicita: vado a vedere io…si bravo vai a vedere, il generoso Lobos si butta per un sentierino e viene inglobato dal fango: sparisce alla vista del gruppo. Non è un’immagine letteraria: semplicemente il fango delle colline modenesi non è inerte, ma ha una sua vita, incontra una bicicletta e ci si attacca come mucillagine carogna e la ingloba, poi aspetta che il sole lo secchi e la bici con il suo cavaliere è pronta per piastrellare il bagno padronale di qualche riccone russo. Pochi metri e il poveretto ormai annaspa. Il gruppo consuma la sua tribale vendetta: ciaooooooooo ci vediamo dopo!
L’allegra combriccola si dirige senza indugio, via lindo asclato bitumminoso, all’agriturismo San Polo di Castelvetro Modenese. L’Umile Cronista a questo punto capisce che il sospetto non ha ragion d’esistere: la levataccia, il casello, le singlespeed, le salite e quant’altro sono tutti miseri pretesti per autorizzarsi ad un pranzo che ad occhio e croce dovrebbe aggirarsi fra le 4/5 mila calorie. Quelle che pare abbia ingurgitato Cancellara per vincere la Milano-Sanremo.
Alcune suggestioni per attivare i succhi gastrici del lettore golosone: tagliatelle con ragù in quantità esuberante, lardo aromatizzato, tigelle salumi vari e un parmigiano reggiano da ovazione. Lambrusco Graspa Rossa Bio (fra i migliori che l’Umile Cornista abbia libato), e per il senso di colpa pinzimonio con tenere verdure del campo anch’esse biologiche. Tripudio di dolci, caffè e ammazzacaffè. Il gruppo di ciclopedalatori assomiglia ad un branco (che in natura non esiste) di anaconde dopo il rituale pasto annuale: occhio ceruleo, ventrazza tesa oltre ogni limite e tasso alcolico non rilevabile. Solo un dato per mostrare il senso di totale abbandono e disorientamento post-prandiale. Si va tutti allegri a pagare, ognuno caccia il suo e alla fine felici come pasque ci si accorge che ci sono decine di euro in più! Ha dell’incredibile, ma siamo nel regno delle fate e tutto può accadere.
La compagnia saluta Ed e il Cronista pieno come una cucuzza sente. “adesso tutti in soffitta dal Liutaio”. Ecco ci siamo pensa il Cronista Intasato, l’esagerazione eno-gastronimica inizia a manifestarsi con l’insalata di parole.
E invece no. La soffitta esiste e il Liutaio pure; ma non costruisce violini ovviamente.
L’Umile e Costipato Cronista non pensa di poter descrivere la soffitta, ma proverà a raccontarvi alcune emozini che ha visto balenare nei corpi sfatti dell’allegra combriccola.
La soffitta è la parte alta di una casa in genere un sottotetto e fin qui ci siamo. La soffitta del Liutaio non si discosta dalle altre soffitte.
Saliamo con una certa fatica e veniamo immersi in un mondo archetipale. Nella soffita ci sono molte biciclette, alcune pronte altre in via di sistemazione alcune smenbrate. E poi ci sono migliaia di pezzi di vario tipo e qui l’Umile Cronista Costipato capisce che una guarnitura (non è un inutile orpello culinario frutto della mente putrida di uno chef narcisista) può generare in una mente obnubilata da cibo ed alcool, fenomeni paranormali. Le mani si protendono verso l’oggetto del desiderio gli sguardi si fanno acuti, il respiro prima si ferma e poi riprende rantolante. L’Umile Cronista raccoglie lacerti di discorso; pare che sia un modello unico dalla filosofia esoteria, si parla di fili elettrici (e apr di vederlo un vermicellino nero che penzola dal metallo, e di cambiate automatiche…è troppo per la mente del narratore, che viene sopraffatta e più non può favellar.
La salivazione si riduce le pupille si spalancano. Sono tutti i segni di uno stato di eccitazione. Ma la situazione più commuovente vede protagonista Marcello. Fra i primi entra nella soffita e rimane folgorato da una bicicletta. Come si mostra la folgorazione: inizia a parlare con la bicicletta è normale, no, lo fa cn natiralezza estrema. Inizia a dirle che l’ha sempre desiderata, che per anni è stata al vertice dei suoi desideri, che quando fu messa in commercio per notti e notti non ha pensato che ha lei. Lei la Specialized Rossa muta e fredda come l’acciaio ascolta, ma lui imperterrito ha continuato a parlarle, senza mai toccarla, non osando violare la sua casta purezza. Il fatto curioso è che gli altri annuivano compartecipi del sentimento di Marcello. Ognuno ha iniziato a parlare con le bicilette amate, alcuni, pure con parti di esse.
Voi non potete immaginare le emozioni che può scatenare una forcella in kriptonite trovata su e-bay da un venditore malgascio pagata 13 dollari. Certe esperienze vanno provate e l’Umile Cronista può dire di aver partecipato ad un culto misterico nella soffitta del Liutaio. Ma Lui chi è? Non è dato sapere al Cronista la storia del Liutaio ma certo è che quello che vi era stato raccontato circa la Tana del Divino Demiurgo va annoverato fra i fenomeni di tono minore; il Liutaio è il Motore Che Tutto Muove. Vi avevo raccontato della Tana dicendovi che Spiedo ha lo shining bicicliclo, ebbene, il Liutaio è lo shining biciclico
Di qualsiasi pezzo può dire data di costruzione, composizione chimica, peso, nome tecnico con relativo codice alfanumerico, e di molti addirittura può riferire la misura del reggiseno della moglie del progettista. Non di tutti perché pare che anche fra i progettisti o meglio fra le mogli di alcuni di essi dopo ripetute plastiche non sia più possibile dichiarare con sicurezza la misura originale: in tal caso il Liutaio preferisce astenersi dal nominare un dato che non sia assolutamente incontrovertibile.
Il Liutaio mostra un amore per le biciclette che supera la dedizione che Bondi mostra per il Cavaliere. Voi potete chiedergli qualsiasi cosa e lui con gentile naturalezza vi porterà nel suo mondo fatto di sigle, nomi spesso inglesi, modelli, anni di produzione, date, luoghi e quant’altro.
Alcuni iniziano a farugliare cifre, mostrare assegni, impegnare capitali fantasticare assemblamenti minotaurici, ma lui imperterrito continua a sussurrare paroli dolci alla sua Specialized Rossa. Sarà portato fuori a forza, ma per ore farneticherà dipingendo scenari alpini dove lui e la Specialized Rossa potrebbero accoppiarsi con reciproca soddisfazione.
…ma a questo punto l’Umile Cronista deve chiudere il resoconto di una giornata lasciando ognuno alle sue occupazioni ma avendo maturato la convinzione che le biciclette non sono solo pezzi di metallo ma oggetti d’amore…
A questo punto non rimane che mettere fuori i nomi e i cognomi delle protagoniste:

Autarchica 96’r SS
Kona Unit 29
Singular Swift
Dean Colonel 29
LosLobos Cycles SS
OnOne Imbred SS
OnONe Imbred 29 SS

3 commenti:

Anonimo ha detto...

GRAZIE EMA, OGNI TUO SCRITTO E' UNA GODURIA!

MUD

Anonimo ha detto...

siete una banda fantastica...vi voglio molto molto bene....molto.

Girandola

Anonimo ha detto...

fantastico....farei solo una modifica...hai dimenticato la mia piccola Kona Kula29!

i miei gommoni di polistirolo erano buonissimi!!

ae