08 novembre 2009

COMUNANZE

Pomeriggio d’autunno, il cielo plumbeo, sembra quasi di poterlo toccare con un dito. Le nuvole basse e scure si muovono rapide. I colori si fanno tetri, quasi scompaiono. La pioggia cade insistente, poi quasi per magia si quieta, per poi riprendere insistente. I pensieri sembrano liquefarsi, provo a seguire il ticchettio, cerco di fermarli: vanno troppo veloci e poi si dileguano appena cerco di afferrarli. Scompaiono, lascio che corrano che si infiltrino.
Ne inseguo uno che da giorni mi vortica nella testa.
Un pensiero acquoso, dal sapore di fango e castagne, di mora forse, di vino assaporato in famiglia, quando fuori la terra si appresta a riposare.
Lo lascio colare, il pensiero, lo fermo, ma so che sarà solo per un attimo, però potrebbe bastare per riuscire a dargli una forma dicibile. Ci provo.
Molto spesso mi trovo a pensare che vivo in un paese di merda, sì un luogo che va sempre più imbarbarendosi. Un luogo dove prevale il possesso: l’unico metro di misura sembra essere il soddisfacimento del proprio piacere personale a qualunque costo.
Ma questo è un pensiero che in tempi passati veniva tacciato di qualunquismo, un pensiero che al solo pensarlo svuota la mente di tutti gli altri pensieri, lascia solo un desolante odore di merda, è non è la merda da cui nascono i diamanti, no è la merda che inquina e avvelena.
Devo resistere, non dare ascolto alle pessime sirene che hanno la voce tonante ed acuta, ma che distolgono.
Il pensiero sfuggente, direi quasi tremulo invece va in un’altra direzione. Parla di un senso di gratuita comunanza, di passione condivisa, di genuina oblatività.
Le mie recenti frequentazioni ciclopedalatorie mi hanno messo di fronte ad un modo di agire, che penso rispecchi un modo di pensare e di essere con se stessi, con gli altri e con le cose.
Posso parlare solo di ciò che conosco o penso di conoscere.
Sono stato coivolto, direi quasi rapito, alla bicicletta da un gruppo di adulti bambini. Persone appassionte che dedicano molte delle loro energie e del loro tempo a “giocare” con la bicicletta.
Sono certo che si tratti di gioco e come tutti i giochi servono delle regole per farli funzionare, per far sì che chi gioca si diverta. Senza regole non ci può essere nessuna forma di comunità animale.
Ho scoperto che ci sono molte persone, almeno io ne ho conosciute un certo numero, che vivono la bicicletta come un mezzo di comunanza.
Ho scoperto che le biciclette possono essere montate, smontate, rimontate e ancora smotate: un lavoro incessante che può portare alla pazzia. Un lavoro che permette ad un gruppo di persone di mescolare le proprie conoscenze, i propri possessi fino a farli quasi scomparire per dar loro vita in forme nuove e mai concluse.
Siamo circondati da migliaia di oggetti che assediano la nostra quotidianità, oggetti a volte spesso inutili, a volte ridondanti, ma sempre fondamentali per contenere un primitivo senso di sé. Basti pensare a tutti gli ordini monastici (occidentali ed orientali) che propongono vie di realizzazione del Sé ultraterrene: tutti o quasi, passano per l’abbandono del possesso, per una spogliazione della persona (pensate al San Francesco ritratto dalla Cavani).
Questa via non è per tutti e forse non è neanche, dal mio punto di vista, praticabile.
Ci possono essere forme micro di comunanza dove il possesso passa per una condivisione di gruppo.
Osservare certe biciclette e scoprire che sono costituite da pezzi, “donati”, ma forse sarebbe più corretto dire condivisi, da molte persone, mi ha aperto nella mente piccoli spiragli di speranza e piacere: l’odore della merda si è affievolito.
Sono piccole increspature del quotidiano che mettono di buon umore.
Io da neofita di questo stile di vita ciclopedalatoria mi sono trovato nella scomoda posizione di chi riceve e nulla può dare. Non ho mai sentito il peso di questa posizione, se non quello che io stesso mi sono inflitto, non ho mai percepito di essere giudicato come un approfittatore (si, certo, qualche voce insolente ha ironizzato sulla cortezza dell’ulna e del radio, financo ad arrivare alla spiegazione genetica dovuta all’origine che il fato mi ha conseganto: viene da terre incivili e rudi del lontano ovest italico, troppo vicino al suolo gallico, non c’è da fidarsi!).
Mi sembra che per la comunità padalante a cui mi riferisco sia più importante partecipare di un possesso che non godere della sua dote.
Non è comune almeno non lo è per la mia esperienza, qeusto modo di agire.
Non penso che la comunanza sia frutto di un esercizio di stile, penso che mostri un modo di intendere la vita (forse voglio spingere troppo in là il ragionamento, ma mi è utile per capire e per comunicare), forse la piccola comunità ciclopedalante sente che la comunanza ha un valore in sé e che questo valore in sé dona più gusto alle cose che si fanno.
Poco più di un anno fa mentre stavo pedalando in Brugiana una persona che conosco solo superficialmente mi riprende (il tono della voce, la scarsa conoscenza, la mimica del volto mi fanno dire che non era uno scherzo amicale) dicendo: “ ma giri ancora con quella bici, ma quando te ne compri una!” Non era ovviamente una domanda ma un giudizio: non era possibile rispondere.
Il giudizio era assolutamente pertinente ma anche osceno. Osceno nel senso di qualche cosa che veniva da fuori la scena e che comunque mi obbligava a pensare alla mia di scena. Lì per lì ho continuato a pedalare, ma la mia attenzione si è fatta più sottile e paranoica.
Sono passati molti mesi da quell’episodio, ho continuato ad “usufruire” di oggetti non miei, nel senso classico del termine, ho scrutato la mia scena, ma non sono riuscito a sentirmi giudicato per un comportamento che in molti ambienti, non solo ciclistici, verrebbe certamente catalogato come un atteggiamento quanto meno riprovevole.
Non penso che questo significhi un azzeramento della proprietà, ne la sua riduzione in schiavitù in virtù di una forzata ed ideologica collettivizzazione dei mezzi di trasporto ciclopedalatori. Penso che sia possibile far convivere all’interno di una scena di possesso anche una posizione di comunanza: è un equilibrio delicato ma vale la pena provare a farlo esistere.
Da questo delicato equilibrio poi discendo molte piacevoli conseguenze. Ad esempio accade che quando una persona decide di impossessarsi di una bicicletta, nel gruppo a cui mi riferisco questo accade molto raramente, in genere ci si impossessa di un telaio, all’interno della comunità si attiva una strana forma di energia tumultuosa. E’ un momento magico perché il telaio e il suo felice possessore iniziano ad essere il terreno di vulcaniche proiezioni di gruppo. Si uso la parola proiezione come la usano certi loschi figuri che ormai siamo abituati a chiamare psicologi. Il cinema e la letteratura e pure il fumetto (Moore docet) ci hanno introdotti alle segrete alchimie dei test proiettivi (Rorschach in primis); ebbene, anche in questo gruppo alieno, accade un fenomeno analogo. Telaio nuovo, via, ha inizio un comune e collettivo test proiettivo per tutti. In questa fase in genere vengono esplorati tutti gli universi ciclopedalatori conosciuti e non. Tutti si attivano con pensieri parole opere ed omissioni: fioccano idee, fantasie, desideri nascosti da anni prendono momentaneamente forme pubbliche. Ogni persona ci mette un pezzo e non si tratta di un’immagine figurata. Il gruppo di cui parlo ha una solidissima origine padana: del porco non si butta via niente, figuriamoci della bicicletta.
Via c’è sempre un oggetto che può servire a dare forma ad un sogno!
Questa fase poi lascia il campo al principio di realtà, e dopo lunghe ed animate discussioni si arriva a “comporre” la nuova creatura. Creatura che forse fra qualche anno servirà per dare vita ad altre creature che a loro volta doneranno nuove vite ad altre creature in un processo incessante e magnifico nella sua semplicità.
Questo per me è un esempio di comunanza, ha molti vantaggi in confronto al sistema predatorio individualistico:

- produce un livello di eccitazione molto più alto. L’intersezione di pensieri, parole, opere ed omissioni, aumenta i livelli di endorfine con benefici effetti di euforica piacevolezza;
- la messa in comune di conoscenze e possessi aumenta la possibilità di mettere a punto oggetti ciclopedalatori di sublime fattezze. Oserei dire che questo processo di controllata e folle collusione (e torna il latino cum-ludere, giocare insieme) permette di mettere meglio a fuoco le proprie idee, selezionarle e forse, a volte, pure scartare le più improbabili;
- l’unione fa la forza: più idee circolano e più si cementa il senso di fare gruppo di partecipare ad un gioco comune. Ci si muove all’interno di relazioni e questo, per noi animali primariamente relazionali, è piacevole;
- si stempera il sentimento dell’invidia che tanto avvelena il piacere del vivere. La bicicletta dell’altro diventa anche la tua: ci metti idee, pensieri, nuove soluzioni, a volte addirittura pezzi che andranno concretamente a costituire il nuovo mezzo;
- e poi il piacere di costruire un “progetto” comune: una bici è un’apertura di credito verso nuove avventure.
Se l’uomo, come credo che sia, è un aminale primariamente relazionale, profondamente relazionale, biologicamente relazionale, allora è anche un animale fondamentalmente bisognoso di narrazioni.
Le biciclette in certi gruppi di umani hanno questo potere mitopoietico: aiutano uomini e donne a narrare storie, disegnare scenari futuri, aiutano a creare una piccola storia condivisa a volte anche dei miti (Chris King e non devo aggiungere altro) ultramondani.
Rimane certamente inevasa la domanda delle domande: ma quante bici ha lo Zio? Scusa ma in che senso? Le domande impossibili producono risposte impossibili. Basta poco per mettere in moto la fantasia! Sai che forse lo Zio ha più forcelle che biciclette! Si ma quante bici ha lo Zio?
Parliamone…

5 commenti:

BOB ha detto...

due giorni di pioggia.. ed impegni vari.. niente bici.
Ho sistemato solo "l'officina", ed ho fatto un inventario pezzi.
Cosa fanno li da soli inutilizzati?? han bisogno di telai e di gente che li usi

spiedo ha detto...

bob fai una lista ci sono 2 telai wanga da trasformare in cx per le scis!

tarantola ha detto...

[....Mi sembra che per la comunità padalante a cui mi riferisco sia più importante partecipare di un possesso che non godere della sua dote.... ]

Dite che questa riflessione di Ema getti le basi per la comune Lobos?

mr. friess ha detto...

si però ogni tanto usiamole queste bici...!

Anonimo ha detto...

Giusto France! Ci sono sempre scuse, le ore il lavoro, il tempo, la luna....pedalare osti pedalare...

ema