13 giugno 2009

PAROLE ROCCIOSE



«La nostra è stata una scelta di buonsenso». Nives ha appena finito di stendere il bucato e si riferisce, ovviamente, alla decisione, presa a 200 metri dal quarto campo sulle pendici del Kangchenjunga, di tornare indietro a causa del malore del marito Romano. «Era stravolto, per la prima volta da quando scaliamo insieme ero io ad aspettare lui. Voleva salire fino al campo e aspettarmi in tenda, il giorno successivo, durante il mio tentativo alla vetta; in effetti non aveva ancora i sintomi dell'edema, ma a me non piaceva l'idea di arrivare in cima senza di lui, dopo che su tutti gli altri ottomila siamo saliti insieme. E così abbiamo girato i tacchi e siamo tornati al campo base».

A questo punto viene spontaneo chiedere quanto questa scelta sia stata sofferta. Non hanno sentito la pressione della cosiddetta gara a diventare la prima donna con tutti gli ottomila all'attivo? Il fatto di avere una diretta contendente, la spagnola Edurne Pasaban, appena qualche metro davanti non ha influito?

«Il nostro è un alpinismo all'insegna dell'autosufficienza: non portiamo con noi ossigeno supplementare, non abbiamo portatori d'alta quota a prepararci i campi o le corde fisse e, soprattutto, ci piace salire e scendere soltanto con le nostre forze. Ripeto, è stata una decisione all'insegna del buonsenso; a quel punto non avevamo motivo di restare in quota rischiando di dover ricorrere ai soccorsi nel caso Romano fosse peggiorato. Abbiamo preferito scendere anche per non mettere a rischio la vita di qualcun altro. Durante questa spedizione abbiamo osservato tantissime testimonianze di questo alpinismo "moderno" che ci lascia un po' perplessi: elicotteri che portavano gente al campo base e che li andavano a riprendere appena qualcosa non andava, sherpa che portavano carichi e fissavano corde fisse per gli alpinisti, tanta gente che aveva un atteggiamento come se tutto ciò che non è la cima fosse soltanto un gran fastidio. Ho proprio pensato che noi, esseri umani, siamo diventati dei dinosauri destinati all'estinzione. Tutto questo insieme di cose mi ha dato il necessario distacco dalla "gara"».

Ma, allora, come si pone Nives, nei confronti di questa corsa?

«L'alpinismo è un'attività sportiva, ma non certo una gara. Leggo sempre che c'è chi propone di distinguere, nella classifica dei salitori agli ottomila, chi ha fatto uso di ossigeno e chi no. Ma allora come la mettiamo con l'aiuto psicologico che dà il fatto di avere una bombola nello zaino, anche se non la si usa? O con il grandissimo aiuto di attaccarsi alle corde fisse, di avere dei portatori che si caricano il materiale e che montano i campi? Non ha senso parlare di gara anche perché l'impresa è già stata fatta da Messner. Dopo ci sono state delle bellissime ripetizioni di Kukuzca e Loretan, poi altre decorose e ora soltanto squallide. Ecco, noi siamo convinti di fare un alpinismo decoroso».

(tratto da Alp)

5 commenti:

Carletto ha detto...

Ema, ma esiste un ciclismo "decoroso"?

mr. friess ha detto...

e quali potrebbero essere le imprese da tentare di emulare?

spiedo ha detto...

Si esiste ne siamo tutti profeti Carletto

BOB ha detto...

Bravo Ema! Nives Meroi ci sta proprio bene in questo Blog

Anonimo ha detto...

@carletto: son io a domandartelo. Tu calchi strade e sentieri da molto più tempo di me. Penso che esista, e noi ne siamo degli esempi. La Meroi pratica, come altri, un alpinismo umano, ma estremo. Allora può esistere un ciclimo umano ma estremo! Penso di si!
ema